Chi vuole capire capisca: Ingiustificato è Non giustificato
La Corte costituzionale rinnega se stessa.
Le obiezioni motivate oggi, furono dichiarate infondate dalla sua sentenza n. 41 del 2003, che ammise un referendum sull’estensione dell’articolo 18 di portata innovativa e propositiva ben più ampia di quella proposta dalla richiesta attuale.
Il quesito di allora riguardava non due, ma tre leggi: parti dell’art. 18 dello Statuto del 1970, ma anche parti delle leggi n. 108 del 1990 e n. 604 del 1966. Soprattutto, inoltre, esso proponeva la soppressione integrale dei limiti numerici previsti dall’art. 18 per la reintegrazione dei lavoratori illegittimamente licenziati, la cui garanzia veniva così estesa anche all’unico dipendente che fosse licenziato senza giusta causa. Quel referendum, approvato dall’86,74% dei votanti, non raggiunse il quorum.
Ma esso fu ammesso dalla Corte Costituzionale, che riconobbe l’omogeneità, la chiarezza e l’univocità del quesito, certamente minori di quelle del quesito oggi proposto:
«Il referendum», dichiarò la Corte, «è rivolto in primo luogo all’estensione della garanzia reale contro i licenziamenti ingiustificati ai lavoratori che attualmente, in conseguenza dei limiti numerici sopra ricordati, godono esclusivamente della garanzia obbligatoria» consistente nel pagamento di un’indennità in denaro.
Ebbene, non capisco come la Corte, di fronte a un quesito di portata addirittura più limitata, abbia oggi cambiato la sua stessa giurisprudenza. Lo capisco solo se dico che ha oltrepassato le sue competenze con una pronuncia politica ben più che giurisdizionale.
La Corte, infatti, non ha il potere di sindacare il merito del quesito referendario. Deve solo accertare due condizioni:
che le norme oggetto del quesito non appartengano alle materie per le quali l’art. 75 della Costituzione esclude il ricorso al referendum abrogativo (le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia, di indulto e di ratifica dei trattati internazionali) e che il quesito abbia un contenuto chiaro, univoco e omogeneo come era esemplarmente quello oggi in discussione.
Il giudizio di ammissibilità doveva, insomma, riguardare soltanto questi requisiti della richiesta di referendum, ed invece si è risolto in un’indebita limitazione della sovranità popolare, in ordine oltre tutto a una questione di fondo come è la garanzia della stabilità del lavoro.
Questo è il mio parere.
CLAUDIA BALDINI.
La Corte costituzionale rinnega se stessa.
Le obiezioni motivate oggi, furono dichiarate infondate dalla sua sentenza n. 41 del 2003, che ammise un referendum sull’estensione dell’articolo 18 di portata innovativa e propositiva ben più ampia di quella proposta dalla richiesta attuale.
Il quesito di allora riguardava non due, ma tre leggi: parti dell’art. 18 dello Statuto del 1970, ma anche parti delle leggi n. 108 del 1990 e n. 604 del 1966. Soprattutto, inoltre, esso proponeva la soppressione integrale dei limiti numerici previsti dall’art. 18 per la reintegrazione dei lavoratori illegittimamente licenziati, la cui garanzia veniva così estesa anche all’unico dipendente che fosse licenziato senza giusta causa. Quel referendum, approvato dall’86,74% dei votanti, non raggiunse il quorum.
Ma esso fu ammesso dalla Corte Costituzionale, che riconobbe l’omogeneità, la chiarezza e l’univocità del quesito, certamente minori di quelle del quesito oggi proposto:
«Il referendum», dichiarò la Corte, «è rivolto in primo luogo all’estensione della garanzia reale contro i licenziamenti ingiustificati ai lavoratori che attualmente, in conseguenza dei limiti numerici sopra ricordati, godono esclusivamente della garanzia obbligatoria» consistente nel pagamento di un’indennità in denaro.
Ebbene, non capisco come la Corte, di fronte a un quesito di portata addirittura più limitata, abbia oggi cambiato la sua stessa giurisprudenza. Lo capisco solo se dico che ha oltrepassato le sue competenze con una pronuncia politica ben più che giurisdizionale.
La Corte, infatti, non ha il potere di sindacare il merito del quesito referendario. Deve solo accertare due condizioni:
che le norme oggetto del quesito non appartengano alle materie per le quali l’art. 75 della Costituzione esclude il ricorso al referendum abrogativo (le leggi tributarie e di bilancio, di amnistia, di indulto e di ratifica dei trattati internazionali) e che il quesito abbia un contenuto chiaro, univoco e omogeneo come era esemplarmente quello oggi in discussione.
Il giudizio di ammissibilità doveva, insomma, riguardare soltanto questi requisiti della richiesta di referendum, ed invece si è risolto in un’indebita limitazione della sovranità popolare, in ordine oltre tutto a una questione di fondo come è la garanzia della stabilità del lavoro.
Questo è il mio parere.
CLAUDIA BALDINI.
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