di
F. Q. | 21 marzo 2017
“Nel 2013 abbiamo tesserato
220 persone per il Pd. Pagammo
140 voti a Giuntella, che era sostenuto da
Umberto Marroni e
Micaela Campana (
deputata dem, compagna dell’e assessore alla Casa Daniele Ozzimo, che il 19 ottobre 2016 pronunciò 39 “non ricordo” durante la 128esima udienza del maxi processo nell’aula di Rebibbia, ndr), e 80 a
Lionello Mancini, dell’area di
Goffredo Bettini“. Nel corso del controesame svolto dalla Procura di Roma al suo lungo interrogatorio durato sei udienze al processo a
Mafia Capitale,
Salvatore Buzzi continua a fare nomi che compongono l’intricato puzzle del mercato delle tessere che avveniva fino al dicembre 2014 all’ombra del Campidoglio. Ai dipendenti della
29 giugno, cooperativa di cui Buzzi era presidente e che faceva incetta di appalti a Palazzo Senatorio, fu chiesto di iscriversi a 20 euro a tessera. Pagava il presidente: “A me lo hanno chiesto Campana e Marroni, mentre Bettini lo aveva chiesto a
Guarany (
Carlo Maria, imprenditore, stretto collaboratore di Buzzi, ndr), che era il mio vice”, le parole del’ex ras delle coop riportate da
Il Messaggero.
Giudicato dai pm non credibile nell’agosto 2015
per la parte delle sue dichiarazioni in cui aveva tentato di minimizzare i suoi rapporti con Gianni Alemanno e Massimo Carminati, “per le versioni sui rapporti e gli interventi minacciosi nei confronti di
Riccardo Mancini e per la scarsa plausibilità logica dei rapporti con la criminalità calabrese”, le parole di Buzzi sono al vaglio dei magistrati nella parti che riguardano i politici coinvolti nell’inchiesta. Dal suo racconto emerge il “
costante mercimonio” legato all’affidamento di lavori e gare da parte del Comune di Roma e altre amministrazioni: “In comune era
tutto in vendita – spiega – credo che sarò ricordato per una storia gloriosa e perché con le mie parole
ho ripulito il comune dal marciume”.
L’ex ras delle coop, tuttavia, esordisce così nel controesame: “Quanto detto a marzo del 2015 lo disconosco. Rivedetevi gli interrogatori successivi”, dice nell’aula bunker di Rebibbia, parlando in video dal carcere di Tolmezzo, in provincia di Udine, dove e detenuto in regime di 41 bis. Il braccio economico del sodalizio criminale ipotizzato dai magistrati di piazzale Clodio nega oggi di aver pagato in cambio di favori una serie di funzionari citati a più riprese nei cinque interrogatori cui venne sottoposto dopo l’arresto del 2014. E nelle dichiarazioni spontanee del marzo del 2015, che Buzzi oggi “disconosce” c’è un’altra verità ancora, diversa dagli interrogatori successivi e che quando Buzzi parla al processo cambia in una terza versione.
Dal denaro versato al funzionario del servizio giardini del Comune, Claudio Turella, a quello che sarebbe arrivato agli ex consiglieri di centro destra, come Giordano Tredicine, e centro sinistra, come Pier Paolo Pedetti, e a tanti altri politici: la versione data da Buzzi al processo è piena di “non ricordo” mentre negli interrogatori tenuti davanti ai magistrati nell’estate del 2015 aveva riconosciuto di aver pagato decine di persone per facilitare i rapporti con l’amministrazione e, in sostanza, per avere la strada spianata su gare e lavori in affidamento.
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