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02/09/17

“Criminalità nel contesto della migrazione” Mentre in Italia se li tengono sotto chiave i dati,Germania, i reati sessuali dei ‘migranti’ raddoppiano dopo un anno si registra un incremento di quasi il 500% di crimini sessuali commessi da immigrati

di Lorenza Formicola.
Il 27 aprile la BKA, la polizia federale criminale, ha mandato in stampa un rapporto sulla “Criminalità nel contesto della migrazione” (Kriminalität im Kontext von Zuwanderung), in cui si registra un incremento di quasi il 500% di crimini sessuali commessi da immigrati (aggressioni sessuali, stupri e abusi sessuali sui minori) nel corso degli ultimi quattro anni.
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La settimana scorsa, ad Amburgo, il tribunale ha decretato che un immigrato 29enne iracheno, Ali D., non può essere ritenuto colpevole dell’accusa di violenza sessuale su minore (l’uomo ha abusato di una ragazzina di tredici anni) perché non poteva sapere che avesse meno di 14 anni (in Germania gli under 14 vengono considerati dei bambini). La corte gli ha allora mostrato clemenza non solo perché l’uomo ha confessato il reato, ma perché, avendo commesso la violenza da ubriaco, aveva una “responsabilità ridotta” (verminderte Schuldfähigkeit). A Berlino un tribunale ha invece assolto un 23enne turco accusato di stupro perché la sua vittima non ha potuto dimostrare di non essere consenziente. La corte, nell’ascoltare la deposizione in cui la donna raccontava di essere stata spinta tra le sbarre d’acciaio della testata del letto, ripetutamente violentata per oltre quattro ore, di aver gridato e pregato l’uomo di fermarsi, finché, esanime, non ha ceduto, la corte, dicevamo, le ha chiesto: “E’ probabile, allora, che in quel momento l’uomo abbia pensato che lei fosse d’accordo?”. E’ così che i giudici hanno stabilito che risultava loro impossibile determinare se si trattasse di uno stupro o semplicemente di “sesso selvaggio”, secondo la cultura turca.
In Austria la Corte Suprema ha ridotto la pena da sette a quattro anni ad un certo Amir A., 21enne iracheno accusato di aver violentato un ragazzino di 10 anni in una piscina pubblica a Vienna. Durante il processo, lo stupratore ha confessato di aver violentato il ragazzo, ma solo perché si trovava in “emergenza sessuale“, era, infatti, in “astinenza” da quattro mesi. E ancora, due agenti di polizia sono stati licenziati quando, dopo mesi, è stata decretata l’assoluta incapacità di intervenire, per non parlare di vera e propria inerzia (secondo quanto riportato dai media locali), alle richieste di aiuto di un ragazzo che non sapeva come reagire mentre la sua fidanzata veniva violentata da un branco di immigrati nella riserva naturale di Siegaue (in provincia di Bonn).
Potremmo continuare con questa cronaca dell’orrore dalla Germania e dintorni ma sono due gli elementi che ricorrono con un’inerzia disarmante: la solita corona di locuzioni per descrivere i criminali in ossequio al politicamente corretto (“dalla pelle scura”; “individuo dall’aspetto straniero”; “una persona del sud”, “un uomo che parla male il tedesco”), e i tremendi alibi presi per buoni, “ero ubriaco” o “non sapevo che la violenza sessuale qui fosse un crimine” con cui si fanno scudo i colpevoli. Purtroppo la deliberata e incessante mancanza di attenzione da parte delle autorità per l’emergenza stupri in Germania risalta ancora maggiormente se guardiamo ai numeri drammatici dei rapporti pubblicati dalla polizia. Il 27 aprile la BKA, la polizia federale criminale, ha infatti mandato in stampa un rapporto sulla “Criminalità nel contesto della migrazione” (Kriminalität im Kontext von Zuwanderung), in cui si registra un incremento di quasi il 500% di crimini sessuali commessi da immigrati (aggressioni sessuali, stupri e abusi sessuali sui minori) nel corso degli ultimi quattro anni.
Dal rapporto viene fuori che gli Zuwanderer (categoria che in tedesco indica i richiedenti asilo, i rifugiati e gli immigrati illegali) sono risultati i colpevoli di 3.404 reati sessuali nel 2016, circa nove al giorno. Il 102% in più rispetto al 2015 quando di simili reati imputabili agli immigrati ne erano stati contati 1,683 – circa cinque al giorno. Nel 2014, invece, erano circa tre al giorno – 949 crimini sessuali all’anno. Nel 2013 circa due al giorno – 599 crimini sessuali all’anno. Numeri che a quanto pare di anno in anno peggiorano. Il rapporto disegna anche una chiara cartina geografica del flusso di immigrati in Germania: la maggior parte dei colpevoli dei reati commessi nel 2016 venivano dalla Siria (aumentati del 318,7% dal 2015), dall’Afghanistan (aumentati del 259,3%), dall’Iraq (aumentati del 222,7%), dal Pakistan (aumentati del 70,3%), dall’Iran (aumentati del 329,7%), dall’Algeria (aumentati del 100%), e dal Marocco (aumentati del 115,7%).
Qualcuno obietterà che i reati di tipo sessuale in Europa non sono una novità, ma è semplicemente un modo per coprire non solo la gravità di questi dati, bensì il silenzio omertoso che circonda questa emergenza. Qualcuno sostiene invece che è razzista sottolineare e valutare in maniera differente un reato solo perché a compierlo è un immigrato clandestino (parola, guarda caso, scomparsa dai dizionari occidentali). Può darsi che giuridicamente abbiano ragione, ma davvero tutto può svolgersi nel perimetro del diritto? Davvero non possiamo porci domande di natura sociale, culturale, e soprattutto etica, davanti alla realtà che stiamo raccontando? Senza scomodare, per questo, puritani e sanculotti.
Qualcun altro, poi, vuole che la nostra sia una perversa “ossessione”. Da tempo, ormai, si è smesso di parlare di “integrazione“, ma solo di “accoglienza” protetta dalla mano lunga del multiculturalismo. Un comodo sofisma, elaborato perché ribaltare la prospettiva vorrebbe dire imporre rispetto “al padrone di casa”: integrazione richiede prima di tutto di essere accettati dalla società. Invece nell’ideologia multikulti accoglienza è sinonimo di lasciare pieno diritto a occupare un territorio senza il “futile” intralcio di adattare il proprio comportamento.
E’ così che l’Europa ha smesso di essere la culla della civiltà per trovarsi a rappresentare il primo prototipo di assembramento di individui atomizzati in una comunità ri-tribalizzata. A tenere insieme gli occidentali non è più un comune sentire, né una cultura che ha partorito quel che il mondo ci invidia e copia, né quella bussola attraverso cui si è orientato (e ancora lo fa) il mondo orientale, né, tantomeno, un vincolo di sangue, ma la mera forza di uno Stato da cui sempre in meno si sentono rappresentati. Il risultato sono tutti gli stati fragili che hanno già perso il controllo delle varie Molenbeek d’Europa e che sono destinati a sgretolarsi.

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