Sono davvero tanti 43 anni. Tanto è passato tra quel 28 maggio del 1974, quando scoppiarono le bombe in piazza della Loggia a Brescia, e le motivazioni della sentenza della Cassazione che lo scorso 12 settembre hanno messo la parola ‘fine’ al tormento privato e collettivo seguito alla strage. L’impunità dello stragismo è una bestia nera: sembra che le vittime non possano riposare in pace, lo strazio dei sopravvissuti pare destinato a non placarsi mai, una comunità intera si chiede insistentemente ‘perché’ e ‘chi è stato’ a seminare morte e terrore.
Sappiamo orami che l’immunità dei responsabili, esecutori e mandanti, fa parte degli ‘attrezzi’ dello stragismo che ha colpito l’Italia, con tutto il carico di impotenza e di mistero che essa comporta. Le risposte arrivate sul piano giudiziario, nella maggior parte degli episodi destabilizzanti e in particolare di stragismo, sono state per lo più insufficienti. L’impegno di magistrati e investigatori non è mai mancato ma poco ha potuto, nell’immediatezza dei fatti, contro le azioni depistanti, finalizzate a togliere elementi dalla scena del crimine oppure a far sì che non venissero cercati. Il che garantisce gli stessi risultati. La vicenda bresciana è di esempio e aiuta a comprendere concretamente questo scenario. Vediamo perché.
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