Caso David Rossi, autogol della Procura di Siena: una difesa piena di buchi
Un’iniziativa senza precedenti. Che rappresenta quasi un autogol perché nel testo confermano di non aver seguito la procedura standard della polizia scientifica: sequestrare ogni elemento, repertarlo, analizzarlo e conservarlo. Non solo, ma con frequenza si leggono frasi come “col senno di poi”, “ex post”. In particolare per quanto riguarda i vestiti e i fazzoletti sporchi di sangue. I primi andati distrutti il giorno dopo la morte di Rossi, gli altri distrutti dal pm, Aldo Natalini, prima ancora che il gip avesse emesso decreto di archiviazione o disponesse un possibile supplemento di indagini. Ebbene, per quanto riguarda i primi, si legge nella nota, “La critica che si muove alla Procura della Repubblica è di non aver provveduto al sequestro. Ragionando ex post la critica è comprensibile”. Ma, prosegue, “bisogna però calarsi nel contesto iniziale quando appariva a tutti chiaro l’evento suicidiario”. In quel “momento non appariva necessario all’accertamento del fatto il sequestro degli indumenti” e “il medico legale che nella prima indagine ha eseguito l’autopsia ha effettuato un’ampia ricognizione fotografica dei vestiti”.
Insomma è stato sufficiente ipotizzare che si trattasse di suicidio. Stesso discorso vale per la distruzione dei fazzoletti senza analizzarli per “il venir meno dell’utilità del reperto a fini probatori, alla luce delle complessive risultanze investigative via via raccolte (fotografiche e esiti medico-legali) con conseguente esclusione della necessità della loro analisi”.
Palombi e Vitello proseguono analizzando i nove dubbi più eclatanti. Dai reperti all’orologio.
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