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08/11/17

“L’Appendicite”: di Marco Travaglio

“L’Appendicite”: di Marco Travaglio

(di Marco Travaglio – Il Fatto Quotidiano) – “La Fiat è governativa per definizione”, ripeteva il senatore Giovanni Agnelli, fondatore della Fiat. Infatti partì giolittiano, poi si convertì al fascismo e nel 1926 comprò La Stampa dal liberale antifascista Alfredo Frassati per metterla in camicia nera e portarla in dote al Duce, salvo poi tornare antifascista dopo la Liberazione. E La Stampa dietro – scrive Marco Travaglio sul Fatto Quotidiano nell’editoriale di oggi 05 novembre 2017, dal titolo “L’Appendicite”.
Figurarsi se ci meraviglia l’Appendicite dell’house organ Fiat-Fca, cioè la sua ossessione patologica per Chiara Appendino camuffata da scoop sulla “svolta” nelle indagini sulla tragedia di piazza San Carlo del 3 giugno, quando un falso allarme-bomba scatenò il panico durante la finale Champions Juve-Real, col fuggifuggi e il terribile bilancio di un morto e 1500 feriti.
Da che mondo è mondo, se ci sono morti e feriti per cause non naturali nè dolose, si indaga per lesioni e omicidio colposi.
Infatti la Procura lo fa su chi organizzò l’evento (Comune e agenzia Turismo Torino) e chi gestì l’ordine pubblico (Questura e Prefettura) per appurare l’eventuale nesso causale fra le loro decisioni e la morte della tifosa e il ferimento degli altri. Alla fine, se emergeranno ipotesi di reato, si farà un processo. E, se i giudici le accerteranno, i colpevoli saranno condannati.
Ma stiamo parlando di una disgrazia imprevedibile (la giunta Fassino organizzò un’identica proiezione con i maxischermi, sempre in piazza San Carlo, per la finale Juve-Barcellona il 6.6.2015, dopo le prime stragi Isis a Parigi e Copenaghen, e per fortuna non accadde nulla); e di ipotesi colpose, cioè involontarie che non hanno nulla a che vedere con la questione morale (semmai amministrativa).
Solo una mente malata o in malafede può pensare di usare quest’indagine per dimostrare che i 5Stelle “sono come gli altri” e alimentare il cinismo dei partiti che, non potendo dimostrare la propria correttezza, tentano almeno di farci rassegnare all’ineluttabilità della politica sporca.
Infatti proprio questo è il gioco: equiparare il “caso Appendino” agli scandali di tangenti, mafia e malaffare che inquinano il mondo renzusconiano. Il tutto senza che la Appendino sia stata ancora non dico condannata, ma neppure “avvisata”.
Da due giorni La Stampa e da ieri gli altri giornaloni annunciano che l’avviso di garanzia “sta per partire”, è “pronto”, “in arrivo”, anche se la sindaca non ha che un’iscrizione per lesioni colpose (“atto dovuto” per i pm, dopo varie denunce dei comitati delle vittime). Un mese fa il Pd, Repubblica e il Giornale, in fregola di dipingerla come una serial killer, accusarono i pm di volerla salvare dall’incriminazione per omicidio colposo. E perché mai?
Per “cortesia istituzionale” (il Giornale), per “prudenza istituzionale o mancanza di decisione o chissà cos’altro” (Repubblica). Come se il procuratore Spataro, dopo una vita passata a indagare su terrorismo, mafia e poteri forti (tipo una ventina di capi e agenti della Cia e del Sismi per il caso Abu Omar), tremasse dinanzi a una sindaca.
L’idea che per indagare qualcuno ci vogliano le prove di una condotta illecita nemmeno li sfiorava. Ora è probabile che, a fine indagini, l’Appendino, assessori, organizzatori e forze dell’ordine debbano essere interrogati e dunque invitati a comparire come indagati per omicidio colposo.
Solo che purtroppo gli inviti non partono con la tempistica che fa comodo a La Stampa, o a chi per essa. Che fare: aspettare che partano, come sempre si fa da che mondo e mondo, prima di scrivere che sono partiti? No, li si anticipa e si dice che sono lì lì.
Perché tanta fretta? Altre urgenze, a parte le elezioni di oggi in Sicilia, non ci vengono in mente. Quindi sì, il sospetto è che questa new entry nella cronaca giudiziaria mondiale – il preavviso di garanzia – serva a pareggiare il conto degli impresentabili dei partiti nell’isola.
E pazienza se le persone raziocinanti sanno distinguere una persona perbene come l’Appendino, indagata per una disgrazia, da un pregiudicato, plurimputato, plurindagato e pluriprescritto come B., e dalla legione di inquisiti e condannati per svariati malaffari nelle liste renzusconiane.
Butti lì due titoloni in prima pagina sull’Appendino, le rassegne, i tg e gli altri giornaloni li riprendono, e magari qualcuno si ferma alla parola “indagato” e abbocca. Anzi, meglio aggiungerci altre esche per gonzi: “rinvio a giudizio”, “interdizione dai pubblici uffici”, “dimissioni” (sempre neppure l’avviso).
La Stampa di ieri, prima pagina:
“La Procura: ecco chi sbagliò in piazza San Carlo” (poi uno legge gli articoli e non c’è una sola sillaba della Procura), “Verso le richieste di rinvio a giudizio” (e allora che li fanno a fare gli interrogatori?). Repubblica:
“La raffica di indagati che fa tremare Torino” (scala Mercalli o Richter?), “Il M5S: ‘Non le chiederemo di autosospendersi’” (e perché mai dovrebbero?), “La solitudine della sindaca: ‘Ma non la faremo cadere per un avviso di garanzia’” (che non c’è). Il Giornale: “Ora i grillini rischiano il concorso in omicidio” (per quello in strage ci vuole la tessera di FI).
Dietrologia? Giudicate voi: ieri, come avevamo previsto, La Stampa ha nascosto in una brevina nelle pagine siciliane la notizia del giorno: il Tribunale di Roma che chiede alla Procura di indagare il governatore pd del Lazio Nicola Zingaretti e altri 26 testi (tra cui la dirigente Pd Campana e l’ex viceministro Mdp Bubbico) per falsa testimonianza su Mafia Capitale. Titolino da caccia al tesoro, senza lo straccio di un nome: “I politici e le bugie su Mafia Capitale”. Sparita dai radar anche l’inchiesta su B. e Dell’Utri per le stragi mafiose del ’93, proprio mentre si vota in Sicilia.
E questo, diciamolo, è uno scatto in più rispetto al vecchio detto del senatore Agnelli. Un portarsi avanti col lavoro. Governativi per definizione, ma nel senso del prossimo governo.

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