Le parole di Edith Bruck ci fanno sentire il sapore del sale sul viso, come quando il pianto si mescola al mare e non sai più da dove arriva il dolore.
Una voce che viene da un altro tempo, da una ferita che non ha mai smesso di sanguinare, e che proprio per questo oggi vede più chiaro di tutti.
Ha 94 anni. È sopravvissuta alla Shoah.
E oggi chiede ai soldati israeliani di disobbedire.
Non per ideologia. Non per schieramento. Ma per umanità.
Perché ci sono ordini che non si possono eseguire.
Perché esiste un confine oltre il quale non si può andare.
Perché se continui a oltrepassarlo, a un certo punto, non torni più indietro.
Perdi l'anima.
A Gaza muoiono bambini.
Intere famiglie cancellate.
Una madre palestinese ha perso nove figli in un solo colpo.
Nove.
Che numero è, nove, quando si parla di figli?
È una fine. È troppo anche per la morte.
Eppure si continua.
Si colpisce.
Si giustifica.
Si invoca Dio.
Edith non ce la fa più a restare zitta.
Dice: "Usano Dio per uccidere. Ma Dio non uccide. Dio non ha mai ucciso nessuno."
Ecco il cuore di tutto.
Quando l'uomo uccide in nome di Dio, sta solo usando Dio per giustificare il proprio abisso.
L'ha fatto la Storia.
Lo fanno oggi.
E noi, che abbiamo avuto la fortuna di non essere nati in un campo, noi che possiamo ancora scegliere, ancora scrivere, ancora piangere, abbiamo il dovere di non confondere la fede con la violenza.
Di non chiamare giustizia ciò che è vendetta.
Di non chiamare difesa ciò che è sterminio.
Perché nessun governo, nessun esercito, nessuna ideologia può essere più sacra della vita.
E perché ogni vita ha lo stesso valore.
Sia essa israeliana, palestinese, ebrea, araba, cristiana, atea, neonata o anziana.
La vita è sacra. Sempre.
Edith non chiede vendetta.
Non chiede punizione.
Chiede coscienza.
Chiede che qualcuno, almeno uno, abbia il coraggio di dire:
"Io questo non lo faccio."
La chiamano eroina, ma lei è solo un essere umano che ha visto troppo dolore per restare zitta.
E noi, che leggiamo le sue parole, dobbiamo fare lo stesso: non possiamo restare zitti.
Questo non è solo un conflitto.
È una deriva.
E chi la vede, deve dirlo.
Perché quando l'umanità inizia a sparire sotto le macerie, ogni voce che resta in piedi è già una forma di resistenza.
Noi non possiamo fermare le bombe.
Ma possiamo dire da che parte stiamo.
E noi stiamo dalla parte dell'amore.
Di chi dice no.
Di chi disobbedisce al male.
Di chi salva una vita, anche solo con un gesto, anche solo con una parola.
E quando tutto sarà finito,
quando questo inferno passerà perché passerà vorranno sapere: tu dov'eri?
Tu che cosa hai fatto?
Noi vogliamo poter dire: "Io ho scelto la pace. lo ho scelto l'amore. Io non ho taciuto." Perché il silenzio non è mai neutrale. È sempre una forma di complicità.
Mai più non è una frase da museo. È una responsabilità quotidiana. È adesso.
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