E con questa sono due. Due volte che la pancia prevale sulla testa, vanificando ogni previsione. Lo scorso 23 giugno ci siamo addormentati con il "remain" in vantaggio sul "leave" e ci siamo svegliati con la Brexit. Ieri notte abbiamo spento la tv con il refrain: "
Tranquilli, vincerà Hillary" e oggi il mondo saluta, non senza apprensione, l'ascesa di
Donald Trump alla Casa Bianca.
Due episodi che testimoniano l'inadeguatezza di un sistema di analisi politica basato su strumenti non più al passo coi tempi. Siamo lontani anni luce, per capirci, dall'epoca in cui i sondaggi riuscivano a prevedere per tempo l'esito di una consultazione elettorale, con un margine di errore minimo. E questo perché è saltato il presupposto della loro affidabilità.
La società occidentale odierna sta progressivamente perdendo ogni residuo ideologico, rendendo sempre più liquido l'elettorato. Oggi passare da un polo all'altro non è più considerato apostasia ma una normale conseguenza di un quadro politico profondamente cambiato. A ciò si aggiunge una generale sfiducia nei confronti della politica di establishment, considerata incapace di far fronte alle grandi emergenze: dall'immigrazione al terrorismo, passando per le crisi economiche. Gli elettori sono confusi, poco certi delle loro scelte e alla ricerca di risposte facili.
In un contesto come questo fare riferimento a un campione per sciorinare dati sui possibili esiti elettorali è un'operazione quanto mai azzardata. Più opportuno sarebbe rivolgersi ai social media, vero termometro della "pancia" dei cittadini. Qui il quadro si fa più chiaro. Community, fan page e profili influenzano l'opinione pubblica più di un comizio elettorale. I contenuti vengono considerati più sinceri, anche per la maggiore possibilità di confronto con altri utenti.
Questo consente a slogan e programmi di correre trasversalmente raggiungendo fasce di popolazione normalmente non interessate a un dibattito pubblico istituzionale ma che, come tutti noi, hanno bisogni, interessi e paure. E si lasciano tentare dai messaggi forti, magari veicolati da utenti e pagine fake creati ad hoc dai social media manager che lavorano per questo o quel candidato.
Se questo fenomeno fosse stato compreso per tempo sondaggisti e analisti non avrebbero perso tempo in rilevazioni statiche. Ma sarebbero scesi nella piazza digitale, notando, ad esempio, che engagement e popolarità dei profili Facebook e Twitter di Trump superavano nettamente quelli di Clinton.
O che, negli Swing States, risultati decisivi per la vittoria dei repubblicani, l'interesse degli utenti Fb nei confronti del tycoon newyorchese
era maggiore di quello rivolto verso l'ex First Lady.
Prendere coscienza di tutto questo non solo eviterà a media e statistici nuove figuracce ma consentirà, soprattutto, a chi fa politica di capire che il vento è cambiato. Che all'elettorato si arriva attraverso nuove strategie comunicative, con un confronto quanto più orizzontale. Populismo e demagogia si combattono scendendo nell'arena virtuale, non trincerandosi in una torre d'avorio.