Prima la cattiva notizia: il livello di libertà di informazione di Internet nel mondo è in declino per il sesto anno consecutivo, messa in discussione da una repressione sempre più pesante da parte dei governi. Ecco invece la buona: l'Italia si guadagna il podio fra i paesi più "liberali".
Gli ultimi dati in materia arrivano dal
report Freedom of the net 2016, appena pubblicato dal think tank Freedom House. Nello studio si analizza il comportamento dei governi in 65 paesi del mondo, rappresentativi dell'88% della popolazione. E, a dire la verità, non ci sono grosse sorprese. Per il secondo anno consecutivo la Cina si è dimostrata il paese più autoritario nei confronti della rete, seguita da nazioni come Siria e Iran.
La Cina, in particolare, la settimana scorsa ha approvato un controverso
progetto di legge in materia di cybersecurity, volto a limitare la libertà di parola sul web. La nuova regolamentazione impone, fra le altre cose, nuove regole con gli internet service provider innalzando il livello dei controlli.
Il provvedimento legislativo approvato dalla maggioranza del Parlamento cinese, è destinato a entrare in vigore definitivamente nel giugno 2017. "Una direttiva necessaria per la Cina", ha commentato il Parlamento in una nota ufficiale. Chiaramente la Corea del Nord non è neppure stata presa in esame, altrimenti li avrebbe battuti tutti in termini di censure e bavagli.
L'Italia, dicevamo, ci riserva invece una bella sorpresa. Nonostante in questi anni il governo non sia ancora riuscito a portare a termine una
legge sul cyberbullismo e si registri un punteggio inferiore rispetto al 2015, il nostro Paese si inserisce all'11esimo posto nella classifica dei territori più liberi dopo Estonia, Islanda, Nord America, Giappone, Australia, Sudafrica, Kenya e Filippine.
Calcoli alla mano, però, il panorama nel resto del mondo appare abbastanza sconfortante. La libertà in rete, infatti, regna solo sul 24% della popolazione globale, mentre il 64% vive in nazioni che violano sistematicamente la libertà in rete (Russia, Turchia, Cina, Siria, Iran, Etiopia, Uzbekistan e Cuba) oppure la garantiscono solo parzialmente, come l'India, il Messico o l'Ucraina.
Questi dati, però, non possono che farci riflettere su un altro punto. Stanno cambiando i criteri di monitoraggio dell'effettiva libertà d'informazione. Mentre nella carta stampata era più facile valutare censure e bavagli (bastava prendere visione dei giornali o dei libri prima che andassero in stampa) così come anche in ambito radiotelevisivo era più facile valutare i condizionamenti del potere politico, i minutaggi e gli altri indicatori, oggi in rete il tema del controllo del potere politico sull'informazione si pone in termini completamente nuovi e per certi aspetti più scivolosi e impercettibili.
Prendiamo per esempio l'utilizzatissimo sistema di messaggistica istantanea. Forse la "crittografia" di whatsapp e telegram non sarà ancora completamente efficace, però si è dimostrata un vero ostacolo per i governi autoritari. Non a caso durante il 2016, whatsapp è stato bloccato in ben 12 paesi, tra cui Bangladesh, Bahrain ed Etiopia. Telegram è invece stato fermato in Cina, dove stava diventando sempre più popolare tra i sostenitori dei diritti civili.
Misurare il grado di libertà degli utenti di internet, poi, sta cominciando a diventare difficile, anche perché gli utenti - da fruitori di notizie - ne sono diventati anche produttori. E "producendo" notizie in prima persona possono contribuire a coltivare e garantire la libertà di espressione.
Il controllo sull'informazione da parte del potere diventa poi più difficile anche per via di un altro fattore: il diritto che disciplina la rete è ancora limitato. E paradossalmente questa mancanza di norme lascia a briglie sciolte la libertà del web.
Internet insomma - e questo viene sottolineato anche dal rapporto della Freedom House - resta uno strumento essenziale per garantire la libertà dell'uomo, così come la partecipazione dei singoli alla vita sociale e politica, oltre che un mezzo per migliorare la trasparenza del processo democratico e della vita pubblica.
Basti sapere che in alcuni dei paesi dove la libertà di stampa vacilla è stato l'attivismo sul web a portare a risultati concreti, dalla bocciatura di proposte di legge restrittive delle libertà alla denuncia di sistemi corruttivi. E questo è successo anche in paese considerati "borderline".
Come la Siria, dove un gruppo di volontari usa quotidianamente whatsapp per avvisare la popolazione civile dei raid aerei in arrivo. O come la Nigeria, dove, nonostante il regime autoritario, il web è stato preziosissimo per denunciare e infine bloccare una legge che avrebbe limitato l'uso dei social media.