Inutile dire che, via la Raggi, il commissario di governo annullerebbe subito il No alle Olimpiadi, restituendo i soliti noti alle solite greppie.
Per chi non l’avesse capito: dimissioni fa rima con ladroni
Marco Travaglio 27 gennaio 2017
Raggi leader.
Cari lettori, vi dobbiamo delle scuse.
Siccome siamo “il giornale dei grillini” (infatti abbiamo fatto indagare la Raggi appena insediata con lo scoop di Marco Lillo sull’incarico “dimenticato” all’Asl di Civitavecchia e chiesto le dimissioni della Muraro per aver mentito al Fatto), avremmo dovuto pubblicare gli scoop sensazionali che invece ci hanno soffiato i concorrenti.
Per dire: un valoroso cronista del Corriere ha pubblicato l’ultima telefonata fra Grillo e la Raggi, con tanto di sceneggiatura, facendo schiattare d’invidia tutti i pm e gl’intercettatori d’Italia.
Virginia è “nel suo ufficio, sola. Solissima”.
O così almeno crede: non sa che, travestito da fioriera, c’è pure il cronista che vede e sente tutto: le “occhiaie profonde”, “il fard che non copre il pallore”, il suo “mordersi le labbra”, “il passo risoluto, sicuro che affinò nei corridoi dello studio Previti-Sammarco”.
A quel punto “dentro la borsa inizia a squillare il cellulare”, come nota subito il cronista camuffato da burrocacao nella tasca interna. “Sul display: ‘Grillo’”.
Lei pensa: “Ok, va bene, Beppe vorrà fare il punto della situazione”.
Ignora che nella sua mente c’è il cronista travisato da ipotalamo, pronto a leggere nei suoi pensieri.
Grillo crede di parlare solo con lei, invece è un ménage à trois. Il cronista, disperso nell’etere in forma gassosa, ausculta e annota tutto: la voce di Beppe “diventa più sottile, tipo lama e l’inflessione genovese s’accentua”.
Il perché della metamorfosi vocale, grazie al cronista-ingegnere del suono, è presto detto: “Il capo è furibondo. La Raggi riesce a dire solo: ‘Ciao…’” (il cronista decritta anche la punteggiatura). “Poi attacca lui. Carico a pallettoni. Stravolto”.
Qui dev’esserci un disturbo sulla linea e l’etereo cronista afferra solo l’ultima frase, “un urlaccio gotico”.
Non dorico, né ionico, né corinzio: gotico. “Mi hai ingannatooooo!” (cinque “o”, non una di più né di meno).
Gli inganni sarebbero due.
1) La Raggi è accusata non solo di abuso d’ufficio, ma anche di falso e Grillo preferiva – non si sa bene perché – il primo reato (come se l’abuso fosse una medaglia e come se le accuse non le decidesse la Procura, ma le scegliesse l’indagata).
2) La Raggi ha detto all’Anticorruzione di aver deciso lei di promuovere a direttore del Turismo Renato Marra, fratello del più noto Raffaele, e invece avrebbe mentito (di qui l’accusa di falso) per coprire il conflitto d’interessi fra i due congiunti e la mancata “valutazione comparativa dei curricula degli aspiranti dirigenti” (di qui l’accusa di abuso).
A sbugiardarla ci sarebbero sia la chat fra i due Marra, in cui Raffaele incita il fratello a fare domanda per il Turismo, sia l’assessore Meloni, il quale dice ai pm che Raffaele gli segnalò Renato.
E questo, per Repubblica, è “l’ultima spinta che avvicina la Raggi al suo abisso giudiziario e politico”.
Perbacco.
Ora, se le parole hanno un senso, per sbugiardare la Raggi ci vorrebbe la prova di una raccomandazione di Raffaele alla Raggi, non una frase detta al fratello o all’assessore.
Tantopiù che, proprio per evitare di essere lapidata per il conflitto d’interessi fra i due Marra, la sindaca aveva dissuaso Renato (da 20 anni nei vigili urbani) dal candidarsi a comandante, ma non poteva stroncargli la carriera dappertutto.
Invece nella chat Raggi-Frongia-Romeo-Raffaele Marra, quest’ultimo non chiede nulla alla sindaca per il fratello: è lei che s’informa sulle norme e le procedure corrette da seguire e sullo stipendio connesso alla promozione.
Ma i giornaloni, notoriamente “garantisti”, danno già per scontato che la sindaca è colpevole.
Infatti annunciano che i pm chiederanno il “giudizio immediato” prim’ancora di interrogarla: nel qual caso non si vede perché mai le abbiano spedito un invito a comparire anziché direttamente il rinvio a giudizio.
Poi ipotizzano che la Raggi si “autosospenda” o “patteggi” sul falso per salvare “il posto” dalla sospensione per la legge Severino.
Nella foga, trascurano un piccolo dettaglio: il “Regolamento degli uffici e dei servizi di Roma Capitale” citato nel capo d’imputazione. All’art. 38 comma 2, si legge: “Gli incarichi… di direzione delle direzioni” (come quello del Turismo) “sono conferiti e revocati dal Sindaco” d’intesa con gli assessori competenti, senz’alcuna “valutazione comparativa dei curricula” di altri aspiranti, la cui mancanza è contestata come abuso d’ufficio.
Insomma, i direttori delle direzioni comunali se li sceglie il sindaco, infatti scadono quando scade lui: purché abbiano la giusta competenza.
Una norma che sembra indebolire l’accusa di abuso.
Ma i “garantisti” non badano a queste minuzie.
E nemmeno al fatto che l’autosospensione è un istituto giuridicamente inesistente (l’ha adottato il sindaco plurindagato di Milano Beppe Sala, poi tornato felicemente indietro fra gli applausi degli stessi che ora, per molto meno, vogliono la testa della Raggi).
E neppure alla circostanza che chi patteggia ammette implicitamente i reati e concorda una pena con lo sconto con i giudici: ve la vedete una sindaca a 5Stelle che patteggia anche un solo minuto di carcere e resta lì?
Il M5S la caccerebbe a pedate e tutti i consiglieri pentastellati la sfiducerebbero, lei compresa.
Ma, in questa vicenda, garantismo e giustizialismo non c’entrano nulla.
Le balle spaziali su riti immediati, autosospensioni e patteggiamenti preparano il terreno alla caduta della giunta che, se arrivasse entro il 1° marzo, consentirebbe ai nemici interni ed esterni della Raggi di riportare i romani al voto in giugno.
Dopo, sarebbe tardi e Roma verrebbe ricommissariata per almeno un anno.
Inutile dire che, via la Raggi, il commissario di governo annullerebbe subito il No alle Olimpiadi, restituendo i soliti noti alle solite greppie.