1) siccome la giunta Raggi aveva sbagliato a revocare la candidatura di Roma alle Olimpiadi del 2024, bloccando lo sviluppo della Capitale e dimostrando che i 5Stelle sanno dire sempre e solo “no”, ora ha sbagliato a non revocare il progetto del nuovo stadio della Roma (sia pure con cubature più che dimezzate), sbloccando lo sviluppo della Capitale e dimostrando che i 5Stelle sanno anche dire “sì”;
2) siccome il governatore pugliese Michele Emiliano sarà chiamato a testimoniare dai pm di Roma che indagano sullo scandalo Consip perché era stato contattato mesi fa da Carlo Russo (ora indagato), emissario di Tiziano Renzi (ora indagato) e dell’allora sottosegretario Luca Lotti (ora indagato), per fargli incontrare il padre dell’allora premier interessato a certi affari in Puglia, la sua veste di testimone lo pone in conflitto d’interessi alle primarie del Pd; invece se Renzi ha papà Tiziano, il fido Lotti, l’amico di famiglia Russo, gli amici generali Del Sette e Saltalamacchia, l’amico ad della Consip Marroni e il finanziatore Romeo inquisiti, non c’è problema.
Da mesi, sullo stadio, i giornaloni tenevano pronti due articoli. Uno, da pubblicare se la giunta Raggi diceva no, per spiegare che i 5Stelle sono nemici del progresso, del lavoro e dell’impresa, dunque non possono governare Roma né tantomeno l’Italia. L’altro, da pubblicare se la giunta Raggi diceva sì, per spiegare che i 5Stelle sono dei finti ambientalisti che fabbricano “ecomostri”, prendono in giro gli elettori con false promesse e poi si mettono al servizio e forse al soldo dei palazzinari, dunque non possono governare Roma né tantomeno l’Italia. Poi purtroppo hanno dovuto cestinarli tutti e due, perché la Raggi li ha spiazzati: si è incuneata nello spazio strettissimo concesso dalla Conferenza dei servizi avviata da Marino e Zingaretti e, giocando con Grillo alla poliziotta buona e al poliziotto cattivo, ha sventolato il vincolo della Soprintendenza sul fu ippodromo di Tor di Valle e il nuovo parere dell’Avvocatura sul possibile ritiro della delibera, si è presentata con la pistola carica sul tavolo e ha convinto il costruttore Parnasi e il patron romanista Pallotta a tagliare oltre metà delle cubature.
Una soluzione molto vicina alle promesse elettorali (“Stadio sì, speculazioni no”) e alla posizione espressa dall’ex assessore Berdini (purtroppo più nelle interviste che negli atti ufficiali). Insomma un buon compromesso che il Fatto aveva anticipato mentre tutti strillavano al caos, al fallimento, alla rivolta dei tifosi o della base, alla resa ai palazzinari. E così ieri i giornaloni han dovuto ingoiare il taglio delle torri e del cemento, rosicando per l’ennesima scommessa persa (dopo quelle sulle polizze, la compravendita dei voti, il patteggiamento della Raggi e gli sms di Di Maio pro Marra, anzi anti).
La nostra più sentita solidarietà va al Messaggero, che aveva ingaggiato contro “l’ecomostro” una vibrante campagna ambientalista, trasformandosi nella versione tupamara di Legambiente e Italia Nostra dopo aver magnificato come ottava e nona meraviglia del mondo i capolavori imperituri delle Vele di Tor Vergata e della MetroC, forse perché (ma è solo un’illazione) quelle sono opere di Caltagirone (si vocifera sia l’editore del Messaggero), mentre lo stadio no.“Raggi cede: primo sì sullo stadio”, “Stadio, dimezzato l’ecomostro”, titolava ieri Caltanews con la bile al posto dell’inchiostro per questa sindaca che si permette di non chiedere il permesso al sor Francesco Gaetano, mentre numerosi camion scaricavano in via del Tritone forniture intensive di Maalox. Ora, se avete finito di ridere, preparatevi a ricominciare con lo scandalo Consip, che ha scatenato nella redazione di Repubblica un’epidemia di acidità di stomaco per i continui scoop di Marco Lillo sul Fatto.
Tre giorni fa abbiamo scoperto che il duo Tiziano Renzi-Carlo Russo, non contento delle pressioni su Consip per favorire l’imprenditore Romeo nell’appalto più grande d’Europa, si dava da fare per altri affari in Puglia e tentava di agganciare (peraltro invano) il governatore Emiliano, che su quei contatti verrà sentito come teste dai pm.
E ieri Repubblica con chi se l’è presa? Non col governo Gentiloni che ha confermato il ministro indagato, i due generali indagati, l’ad indagato di Consip. Ma con l’unico non indagato: Emiliano. Il putribondo figuro che osa sfidare Renzi alle primarie avrebbe – secondo Repubblica – dovuto correre in Procura per “offrire alla Giustizia gli elementi di cui ha conoscenza” (cosa che farà ora che è stato convocato, mentre non poteva farlo quando non aveva notizie di reato da denunciare) e non avrebbe dovuto “conservare nel suo telefonino” gli sms di Russo & Lotti (così, se qualcuno avesse speso il suo nome a vanvera, non avrebbe potuto smentirlo).
E ora dovrebbe evitare il “cortocircuito” che quegli sms comportano alle primarie, visto che “il testimone Emiliano potrebbe ritrovarsi tra gli accusatori del padre e del migliore amico del suo sfidante”.
Ecco: non è Renzi a dover chiarire a che titolo suo padre, il suo ministro e l’amico di famiglia si impicciavano nell’appalto più grande d’Europa che i pm ritengono viziato da mazzette pagate o promesse da un suo finanziatore. È Emiliano, che subì e respinse le avance dell’allegra brigata, a doversi scusare e possibilmente ritirare a vita privata. Così impara.