Sono stato tra i coordinatori della Circoscrizione Estero dell’Ulivo, della Margherita e dell’Unione, componente del Consiglio Generale degli Italiani all’Estero, ho ricoperto incarichi al ministero degli Esteri nello stesso settore con i governi Prodi, D’Alema, Amato. È toccato a me, alle 3 di notte dell’11 aprile 2006, comunicare a tv e giornali la vittoria di Romano Prodi grazie al consenso conquistato dal centrosinistra all’estero. Ho incontrato tutte le nostre comunità nel mondo, dalla Nuova Zelanda alla Terra del Fuoco, e ho potuto verificare attraverso tutte le tornate elettorali e referendarie gli effetti della legge sul voto all’estero. Una legge che alla prova dei fatti si è dimostrata disastrosa, permeabile a infiltrazioni di gruppi di potere e della criminalità organizzata.
Come Osservatorio Beni Comuni stiamo da tempo monitorando l’espletamento del voto all’estero e possiamo affermare che, anche in questa occasione, esistono tutte le premesse per brogli diffusi, prodotti da una legge assurda e anticostituzionale che vanifica in premessa l’articolo 48 della Carta che vuole il voto “personale, libero e segreto”. Una legge che, per com’è costruita, è naturaliter uno scivolo per pratiche illegali. E non solo per l’incetta di schede raccolte e votate a stock.
Le realtà da monitorare con più attenzione sono l’Argentina, e Buenos Aires in particolare, il Venezuela, il Brasile, soprattutto San Paulo. In Europa va monitorata la Germania (Stoccarda su tutte), la Svizzera e il Belgio. Negli Usa i distretti consolari di Chicago e Philadelphia, così come, in Australia, Melbourne e Sidney.
Il Comitato per il No deve immediatamente chiedere che il ministero degli Esteri e ogni Consolato comunichino il numero di schede votate rientrate e il numero di schede non votate rientrate in ogni circoscrizione. Questo per evitare che le migliaia di buste chiuse tornate al Consolato, per mancato recapito o per restituzione (di norma un terzo o un quarto del totale), possano essere aperte e votate.
“Sono i cosiddetti voti di ritorno, hai capito ? Provvederò che in ogni Consolato ci sia la nostra presenza segreta per i voti di ritorno che nel 2006 hanno rappresentato più del 30% (…) blocchiamo il ritorno dei certificati e li controlliamo. O ce li votiamo noi, parliamoci chiaro. Mi segui?”. Così parlava l’8 marzo 2008 Aldo Miccichè, indicato dai giornali come referente della ’ndrangheta in Venezuela, intercettato col coordinatore di Forza Italia Marcello Dell’Utri.Le assicurazioni sui controlli del viceministro Mario Giro (più che un esperto di esteri un “soldato” di Sant’Egidio) sono scritte sulla sabbia.
Le schede sono stampate in loco (assurdo) spesso da ditte inaffidabili per una operazione tanto delicata, nessuno è in realtà in grado di controllare se ne vengono stampate di più e consegnate a chi. Nello spoglio a Castelnuovo di Porto è stata denunciata non solo la presenza di moltissime schede votate da una stessa mano per uno stesso candidato, ma persino la presenza di schede e buste di colore diverso dall’originale e persino di “odore tipografico” diverso.
Dal momento in cui le schede vengono riconsegnate al Consolato al momento dello spoglio a Castelnuovo di Porto, passano ore, giorni e notti durante le quali le stesse sono ovviamente suscettibili di manomissioni. Compresa l’aggiunta di ulteriori schede “taroccate”. Il Fatto ha riportato le argomentazioni dell’ambasciatore con delega per gli italiani all’estero Cristina Ravaglia, argomentazioni talmente vere (“sistema inadeguato, contrario ai principi costituzionali, che comporta pericolo di furti, incette, pressioni, compravendite, sostituzione del votante…”) che avrebbero dovuto impegnare il governo e i parlamentari all’estero a una riforma della legge.
Perché questo non avviene? Perché i parlamentari eletti all’estero sono espressione della vecchia emigrazione, e delle sue obsolete, lottizzate e clientelari strutture che costituiscono il vero tappo al protagonismo di nuove generazioni, più colte e più libere che premono per entrare, e che oggi in larga maggioranza si esprimono per il No.
I deputati renziani del Pd eletti all’estero che difendono col coltello tra i denti questa legge, quasi tutti ex funzionari sindacali, proposti ed eletti da Cgil e Uil, che all’improvviso si schierano con Jp Morgan e per la cancellazione dell’articolo 18, in realtà difendono sé stessi. Sostengono che un’altra legge per il voto all’estero è impossibile. Falso, potrebbe essere immediatamente praticabile l’opzione suggerita dallo stesso ambasciatore Ravaglia del voto elettronico. Oppure, come propongo da anni, prevedendo il voto nei seggi nei Consolati. Scelta facile e meno costosa, che consentirebbe di votare con un sistema controllato e costituzionalmente compatibile.
“Opzione non praticabile perché molti votanti risiedono lontano dalle sedi consolari”, affermano i conservatori del sistema attuale. Falso. Abbiamo presentato i risultati di una ricerca nella quale si evidenzia che oltre il 90% degli italiani residenti all’estero vive vicino, e comunque non oltre i 50-70 km, da una sede consolare.
Adesso cerchiamo di limitare i brogli e far vincere il No, ma da lunedì pensiamo anche a riformare in profondità una legge che non rappresenta la ricca pluralità delle nostre comunità nel mondo, ma lobby e strutture clientelari che hanno dato un’immagine distorta e offensiva degli italiani nel mondo.
Luciano Neri Coordinatore Osservatorio Beni Comuni; Presidente del Cenri
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